
Storia di una domanda che sembra di stretta attualità oggi, ma che in realtà ci si pone da anni e che da anni ha la stessa risposta.
Lunedì 22 settembre, in tutta Italia è stato un giorno di sciopero generale. Durante la giornata si sono svolte decine di manifestazioni, presidi, blocchi stradali e occupazioni di infrastrutture come porti e stazioni ferroviarie. È difficile stabilire quanta gente abbia partecipato, ma la sensazione dalla strada e non solo è che sia stata una giornata di enorme mobilitazione.
Nonostante il racconto dei principali giornali abbia messo l’accento su alcuni scontri tra la polizia e i manifestanti, avvenuti alla stazione Centrale di Milano e sull’autostrada a Bologna, e sui disagi provocati a chi doveva spostarsi, le parole delle persone che hanno partecipato e le testimonianze video pubblicate a migliaia sui social network hanno raccontato un’altra storia fatta di solidarietà e di sostegno anche delle persone che non partecipavano direttamente alle manifestazioni.
A Roma, sulla tangenziale bloccata, decine di automobilisti bloccati hanno suonato clacson e applaudito i manifestanti; a Milano, durante tutto il corteo, dalle case e dalle scuole lungo il percorso, non sono mancati gli applausi e le grida di sostegno. Anche dal punto di vista politico, i commenti, soprattutto degli esponenti del governo e in generale della destra, sono stati di accusa e di scherno a chi ieri ha esercitato il diritto di sciopero e di manifestazione.
A Milano, dove abbiamo sfilato anche noi di Slow News, la giornata è stata segnata dalla pioggia torrenziale fin dalle prime ore del mattino, che hanno provocato l’esondazione del Seveso nel Nord della città e che avrebbero potuto limitare la partecipazione alla manifestazione. Anche qui, i numeri sono come sempre molto difficili da ricostruire e da verificare, ma dalla strada la sensazione era che la partecipazione fosse molto elevata. Secondo la questura c’erano 10mila persone; secondo i manifestanti la cifra era invece vicina ai 50mila.
L’obiettivo e la speranza delle decine o centinaia di migliaia di persone che hanno sfilato in strada il 22 settembre era fare pressione sul governo affinché si unisse agli altri Paesi europei che hanno ufficialmente riconosciuto lo stato di Palestina. Il riconoscimento della Palestina è un atto politico importante e, anche se per ora, vista l’occupazione israeliana della Striscia di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, è soprattutto una decisione simbolica, non unirsi ai paesi che lo stanno facendo equivale a restare in linea con quelli che non lo stanno facendo, ovvero che più o meno indirettamente avvallano o in qualche supportano gli atti di guerra e di violenza decisi del governo e perpetrati dell’esercito israeliano.
Per quanto ascoltando oggi i politici o leggendo oggi i principali giornali sembra che questa la questione del riconoscimento dello stato palestinese sia emersa solo di recente, al massimo dal 7 ottobre 2023, in realtà la questione si pone da più di mezzo secolo.
Per questo, il contenuto che vi proponiamo oggi è un manifesto. Risale all’inizio di dicembre del 1988, è stato realizzato da Democrazia Proletaria e si compone di due facciate.
Lo puoi guardare e scaricare qui, dal sito della biblioteca Franco Serantini, istituto di storia sociale, della Resistenza e della storia contemporanea della provincia di Pisa.
Storia di una domanda che sembra di stretta attualità oggi, ma che in realtà ci si pone da anni e che da anni ha la stessa risposta.
Gli “accordi di pace” che si spartiscono il Medio Oriente hanno radici lontane, come l’accordo di Sykes – Picot, del 1916, che conteneva già tutto quello che sarebbe successo nei 110 anni successivi.
Fu uno dei primi, su mandato dell’ONU, a cercare una mediazione di pace tra Israele e Palestina. Fu ucciso in un agguato a Gerusalemme nel 1948.
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