
«La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla capacità dell’uomo di risolvere i problemi dell’ingiustizia razziale, della povertà e della guerra»
Almeno 895mila persone in Europa vivono per strada, in dormitori o alloggi temporanei. È come se tutti i cittadini di Torino più altri 50mila individui non avessero una casa. Sono i dati dell’ultimo rapporto di Feantsa, la Federazione europea delle organizzazioni nazionali per le persone senza fissa dimora, che denuncia un trend in crescita nella maggioranza dei Paesi e ricorda che la (sotto)stima del fenomeno va presa con cautela.
Non c’è infatti una definizione condivisa tra stati membri di homelessness, né uno stesso metodo di raccolta dati, che spesso è parziale. Per esempio, in Italia le 96mila persone senza fissa dimora stimate da Istat considerano solo chi ha la residenza presso una via fittizia o un’associazione, il resto è sommerso.
Non avere dati affidabili ostacola la definizione e il monitoraggio di politiche di contrasto all’esclusione abitativa. Per Feantsa, l’UE è oggi più consapevole del problema, ma gli sforzi sono ancora insufficienti. E suona paradossale ricordare, con le parole di Giuseppe Rizzo su Essenziale, che “in Europa conosciamo nel dettaglio il numero di maiali e mucche che ci sono negli allevamenti, ma non quello delle persone che vivono per strada”.
«La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla capacità dell’uomo di risolvere i problemi dell’ingiustizia razziale, della povertà e della guerra»
Storia di una domanda che sembra di stretta attualità oggi, ma che in realtà ci si pone da anni e che da anni ha la stessa risposta.
Gli “accordi di pace” che si spartiscono il Medio Oriente hanno radici lontane, come l’accordo di Sykes – Picot, del 1916, che conteneva già tutto quello che sarebbe successo nei 110 anni successivi.
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