
«La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla capacità dell’uomo di risolvere i problemi dell’ingiustizia razziale, della povertà e della guerra»
Il 16 settembre, mentre l’esercito israeliano bombardava con violenza Gaza City e la occupava con i suoi carri armati, la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti nei territori palestinesi occupati, guidata da Navi Pillay, ha pubblicato il suo ultimo rapporto che riporta una conclusione netta: a Gaza è in atto un genocidio e la responsabilità è dei vertici politici e militari di Israele.
Il lavoro di inchiesta della Commissione delle Nazioni Unite prende in considerazione i fatti accaduti negli ultimi due anni. E per spiegare perché è legittimo l’uso della parola “genocidio” cita gli atti di violenza verificati da fonti indipendenti e accaduti nella striscia di Gaza e in Cisgiordania.
Dall’ottobre del 2023, infatti, è stato provato che Israele ha commesso «quattro dei cinque atti genocidi elencati nella Convenzione sul genocidio del 1948. Ovvero:
Tutto ciò però è il frutto di una storia che non comincia il 7 ottobre 2023, data utilizzata dal governo israeliano per provare a giustificare e quindi legittimare i propri atti di violenza come una “reazione”. Questa storia inizia tanto, tanto, tanto tempo prima.
Per questo oggi ti proponiamo un contenuto che ha quasi vent’anni. È un documentario. L’ha girato Alberto Puliafito, direttore di Slow News, nel 2009, ovvero 6 anni prima di fondare Slow News, quando insieme a una ONG tentò di entrare a Gaza.
Inizia così:
Grida e rumore di spari – “Una delegazione umanitaria italiana è in visita in Palestina. L’obiettivo è entrare a Gaza passando dalla frontiera di Erez per valutare alcuni progetti di cooperazione che dovrebbero svilupparsi nella Striscia. Il nome della missione è “Gaza, ricostruire la speranza”. Il problema è che dopo l’attacco, e ormai da due anni, praticamente dentro la Striscia non si accede”.
«La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla capacità dell’uomo di risolvere i problemi dell’ingiustizia razziale, della povertà e della guerra»
Storia di una domanda che sembra di stretta attualità oggi, ma che in realtà ci si pone da anni e che da anni ha la stessa risposta.
Gli “accordi di pace” che si spartiscono il Medio Oriente hanno radici lontane, come l’accordo di Sykes – Picot, del 1916, che conteneva già tutto quello che sarebbe successo nei 110 anni successivi.
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