
«La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla capacità dell’uomo di risolvere i problemi dell’ingiustizia razziale, della povertà e della guerra»
Secondo le statistiche di Schengen Visa Statistics, nel 2023 le autorità dei vari Paesi europei hanno respinto 704.000 domande di visto Schengen da parte di cittadini africani: significa che i visti africani respinti sono il 43,1% del totale delle domande di visto Schengen non accettate a livello globale.
Le tasse da versare per la presentazione della domanda di visto per entrare in Europa sono aumentate l’11 giugno a 90 euro (da 80): ciò significa anche che l’anno scorso che i richiedenti visto respinti hanno pagato in totale 56,3 milioni di euro di spese fisse, e non rimborsabili, per la presentazione della domanda, spese che finiscono direttamente nelle casse degli Stati comunitari. A queste spese ne vanno aggiunte altre (quantomeno quelle per la produzione di documenti presso le istituzioni locali, per il biglietto aereo, per l’alloggio e per l’assicurazione sanitaria) necessarie per la presentazione della domanda e difficilmente calcolabili.
Secondo The Africa Wealth Report, ne abbiamo parlato qui, un terzo delle persone di origine africana che richiede un visto Schengen riceve un “no”. A dicembre, a Tunisi alcuni ragazzi hanno protestato davanti all’ambasciata italiana per chiedere trasparenza nel processo di valutazione delle domande di visto. E un anno fa ci fu la brutta figura del rigetto del visto per lo staff della curatrice della Biennale di Venezia, Lesley Lokko, cittadini ghanesi “non essenziali” (cit.).
Proprio in quell’occasione, ho scritto questo breve articolo con tre domande che ancora attendono un chiarimento da parte del Ministero degli Esteri. Una, in particolare: quali sono i requisiti comunitari Schengen da rispettare per ottenere un visto?
«La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla capacità dell’uomo di risolvere i problemi dell’ingiustizia razziale, della povertà e della guerra»
Storia di una domanda che sembra di stretta attualità oggi, ma che in realtà ci si pone da anni e che da anni ha la stessa risposta.
Gli “accordi di pace” che si spartiscono il Medio Oriente hanno radici lontane, come l’accordo di Sykes – Picot, del 1916, che conteneva già tutto quello che sarebbe successo nei 110 anni successivi.
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