Tra guerre e genocidi, cambiamenti climatici e nuove rivoluzioni tecnologiche, la sensazione di vivere in un momento storico in cui si sovrappongono crisi di ogni tipo è molto netta. Ma se questa sensazione è vera, e lo è, è importante ricordarsi che non è una cosa che sta nascendo adesso, ma che ha radici più profonde di quelle che siamo portati a pensare dal racconto che ne fanno i media.
Sapere che la crisi che stiamo vivendo ha radici molto più profonde di quanto crediamo non deve però servire a spaventarci di più, bensì, al contrario, a capire che ci servono soluzioni radicali e generali: serve unire le lotte, ricompattare il fronte di chi vuole disarticolare quelle radici e costruire un mondo su altre basi che non siano la diseguaglianza e il profitto dei pochi sui molti.
Per questo, la Cosa che resta di oggi è un documento che viene da lontano: una lettera aperta scritta nel marzo del 1964 da un gruppo di attivisti e pensatori e indirizzata all’allora Presidente Lyndon Johnson.
Il concetto era chiaro: il mondo sta cambiando più in fretta di quanto la politica riesca a capirlo. E non si poteva più governarli con gli strumenti del passato. Molto attuale eh?
I firmatari descrivevano a Johnson l’intreccio di tre processi in atto all’epoca:
- una rivoluzione tecnologica basata sulla combinazione di computer e automazione, che se creando un sistema produttivo capace di generare abbondanza con sempre meno lavoro umano. È la fine del lavoro come lo si conosceva.
- una rivoluzione degli armamenti, che all’epoca erano diventati potenzialmente di distruzione di massa
- una rivoluzione dei diritti umani, con la diffusione, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo di battaglie per l’uguaglianza e la dignità
L’interesse che questo documento ha ancora oggi è proprio nel suo sostenere che questi processi, a cui ora si è aggiunto il mastodontico problema del cambiamento climatico, devono essere affrontati insieme, e con politiche radicali.
Puoi leggere il documento originale qui.