
Alle radici di una parola che sembra antica, ma che è nata nel Novecento per definire un crimine “moderno”.
Abbiamo parlato tanto di infodemia: è una parola che ci siamo inventati durante un’epidemia (quella di Sars) e che poi è tornata di moda, per chi si occupa di media, durante la pandemia da Covid-19. L’idea alla base è che si producano troppi contenuti. In effetti, se ne producono tantissimi perché, come sappiamo, tutti possono produrre e distribuire contenuti a costi sempre più contenuti.
C’è un problema, però. Come spiega il rapporto preliminare del Centre for Media Pluralism and Media Freedom (CMPF), a fronte di una sovrapproduzione di contenuti potenzialmente irrilevanti – basta pensare ai vari filoni giornalistici che spostano più che altro indignazione e clic – o addirittura dannosi, sui temi rilevanti per le comunità locali – e dunque anche di rilevanza globale – c’è, paradossalmente, carenza di contenuti. È il news desert.
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Immagine realizzata con AI generativa, giocando sul concetto di news desert
Alle radici di una parola che sembra antica, ma che è nata nel Novecento per definire un crimine “moderno”.
Il 16 settembre, mentre l’esercito israeliano bombardava con violenza Gaza City e la occupava con i suoi carri armati, la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti nei territori palestinesi occupati, guidata da Navi Pillay, ha pubblicato il suo ultimo rapporto che riporta una conclusione netta: a Gaza è in atto […]
Il 16 settembre 2025, l’esercito israeliano ha lanciato una offensiva militare a Gaza, bombardando e occupando la città con truppe e carri armati.
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