
«La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla capacità dell’uomo di risolvere i problemi dell’ingiustizia razziale, della povertà e della guerra»
Abbiamo parlato tanto di infodemia: è una parola che ci siamo inventati durante un’epidemia (quella di Sars) e che poi è tornata di moda, per chi si occupa di media, durante la pandemia da Covid-19. L’idea alla base è che si producano troppi contenuti. In effetti, se ne producono tantissimi perché, come sappiamo, tutti possono produrre e distribuire contenuti a costi sempre più contenuti.
C’è un problema, però. Come spiega il rapporto preliminare del Centre for Media Pluralism and Media Freedom (CMPF), a fronte di una sovrapproduzione di contenuti potenzialmente irrilevanti – basta pensare ai vari filoni giornalistici che spostano più che altro indignazione e clic – o addirittura dannosi, sui temi rilevanti per le comunità locali – e dunque anche di rilevanza globale – c’è, paradossalmente, carenza di contenuti. È il news desert.
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Immagine realizzata con AI generativa, giocando sul concetto di news desert
«La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla capacità dell’uomo di risolvere i problemi dell’ingiustizia razziale, della povertà e della guerra»
Storia di una domanda che sembra di stretta attualità oggi, ma che in realtà ci si pone da anni e che da anni ha la stessa risposta.
Gli “accordi di pace” che si spartiscono il Medio Oriente hanno radici lontane, come l’accordo di Sykes – Picot, del 1916, che conteneva già tutto quello che sarebbe successo nei 110 anni successivi.
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