
Alle radici di una parola che sembra antica, ma che è nata nel Novecento per definire un crimine “moderno”.
Unity è un game engine, un software utilizzato per lo sviluppo di videogiochi, tra i più utilizzati attualmente.
Ora sta facendo molto discutere la decisione di Unity Technologies, la casa di produzione di Unity, di imporre una Runtime Fee: una tassa basata sul numero di installazioni – e sull’abbonamento di Unity utilizzato dagli sviluppatori.
In soldoni, se si possiede un abbonamento “base” (e quindi meno costoso) di Unity, si pagheranno 20 centesimi per ogni installazione del proprio gioco. Se si possiede invece un abbonamento più costoso, a seconda del numero di installazioni si andrà dai 15 a 1 centesimo per ogni installazione.
I primi a soffrirne saranno gli sviluppatori indipendenti i quali, non avendo grosse aziende e grossi investimenti alle spalle – e non avendo neanche la certezza di rientrare dei costi -, saranno tenuti a pagare la tassa più alta.
Viste le proteste e le dichiarazioni da parte degli sviluppatori di abbandonare Unity, ora sembra che l’azienda abbia già fatto marcia indietro.
Ma, come fa notare Lorenzo Fantoni su N3rdcore, questa situazione ci ricorda quanto le aziende non siano nostre amiche. Si tratta sempre di aziende che dapprima si presentano come attente ai propri clienti, ma che poi si rivelano disposte a fare il bello e il cattivo tempo – sfruttando, al contempo, tutto lo sfruttabile – per massimizzare il proprio profitto.
Anche nei confronti di chi già paga i servizi che propongono.
20 settembre 2023
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